C’era una volta il confronto politico tra cittadini nelle Agorà, ai tempi della nascita della democrazia nelle città greche. Poi, alla rinascita della democrazia stavolta rappresentativa, quel confronto passava dalle discussioni nei bar o nelle sedi locali dei partiti, oppure dai dibattiti televisivi tra i rappresentanti delle varie parti, mediati da “moderatori” che cercavano di mantenere il dialogo quanto possibile sul piano della lealtà, evitando attacchi fini a se stessi, urla e offese.
Poi la televisione è cambiata: ha iniziato a cercare l’ascolto come risorsa – più ascolti, più denaro dalla pubblicità – e il moderatore è diventato un ostacolo, perché più si urla e si offende, più la trasmissione diventa spettacolare (dopo due millenni siamo ancora al modello del Colosseo…). Anche i partiti sono cambiati: via le sedi locali, gli spazi di aggregazione e scambio, sono rimasti solo i leader, a cui credere senza discussioni o da respingere senza possibilità di interloquire. E sono cambiati anche i bar, ormai non più luoghi d’incontro, sostituiti dalle palestre – dove si suda da soli in silenzio – dall’invadente TV – dove l’interazione non può esistere – e, infine, da internet.
Oggi, infatti, il confronto politico i cittadini lo trovano su Internet e, più precisamente, su Facebook, la comunità virtuale di “amici” che si scambiano informazioni, opinioni, esperienze e ricordi. Peccato solo che quel confronto non sia quasi mai leale e costruttivo, ma scimmiotti la scandalosa, inutile e confusiva tenzone retorica che i tanto deprecati “politici di professione” portano avanti da anni su ogni tipo di media per attirarsi preferenze.
A prescindere infatti dall’appartenenza politica, il modo in cui i cittadini si confrontano politicamente su Facebook si limita perlopiù alla condivisione di notizie roboanti atte a criticare la parte loro avversa, condendole spesso di pesanti considerazioni critiche nei confronti dei sostenitori di tale parte. C’è una tale urgenza di farlo, che non di rado le notizie condivise risultano essere datate (ne ho viste anche di dieci anni prima), totalmente imprecise e perciò fuori luogo, quando non vere e proprie bufale diffuse ad arte da specialisti del settore.
La risposta a questo comportamento è standard: ripagare con la medesima moneta, condividendo analoghe notizie scandalistiche riguardanti l’altra parte politica – insomma, i ben noti “perché invece nn?” (dove a “nn” si sostituiscono a seconda delle circostanze “PD”, “Berlusconi”, “Renzi”, “Monti”, “Grillo”, “Salvini”, “Di Maio”, ecc. ecc.).
Anni fa, in un articolo in cui parlavo di filosofia e politica, ho denominato questo comportamento “dialogo politico-cratologico”: un dialogo strategico avente per obiettivo il potere (cratos), nel quale si ascolta l’altro solo per cercare il suo punto debole e tornare a colpirlo per vincere il duello. Lo contrapponevo a quello che chiamavo “dialogo politico-filosofico”, nel quale viceversa si ascolta l’altro per capire se non abbia delle ragioni a noi finora ignote e che rendono debole la nostra posizione, per correggerla o eventualmente cambiarla. Un dialogo franco, quest’ultimo, da fare con chi abbia opinioni diverse, al fine di costruire assieme un’idea di società che tenga conto quanto più possibile delle esigenze di tutti; un dialogo che è la sola vera forma di “confronto tra idee”, essendo l’altro solo uno “scontro competitivo”. Un confronto dialogico che è oggi bandito da Facebook, e più in generale da Internet (anche i “gruppi di discussione” seguono la medesima procedura).
E’ tuttavia teoricamente possibile comportarsi diversamente dalla norma in vigore, rispondendo alla retorica strategica mostrandone l’erroneità, la parzialità, la non consequenzialità. Non per ragioni di parte, ma per ragioni di mera “verità”; non dicendo che l’altra parte “è meglio”, ma chiedendo a quella parte di migliorarsi. Ci ho provato, anche in considerazione del fatto che in questo momento io “una parte” politica non ce l’ho, cosa che mi rende oltremodo facile la critica disinteressata. Ma i risultati sono stati drammatici. L’interlocutore, di norma, reagisce infatti con questa sequenza di mosse:
- accusa di essere della parte “nemica” e rilancia con ulteriori “post” scandalistici su quella parte;
- compreso (di solito un po’ a fatica) che non si è di quella parte, insiste a chiedere perché allora la si difenda, incapace di capire che no, non la si sta difendendo, si sta solo indicando che c’è un errore nella sua posizione;
- respinge le obiezioni critiche non già rispondendo nel merito, bensì cambiando piano del discorso, ovvero eludendo la critica;
- se si insiste sul punto, inizia a offendersi anche se si sono usati termini assai più tenui di quelli da lui usati contro la parte avversa, in particolare perché rispondendogli si starebbe “invadendo la sua bacheca” (che la sua bacheca risuoni in quelle altrui sembra improvvisamente ignorarlo);
- messo definitivamente alle strette ed evidentemente incapace di dare risposte efficaci, toglie l’amicizia allo scomodo interlocutore.
Questa cosa mi è successa ultimamente diverse volte. Per esempio con un’amica, colta e brillante, che conoscevo da ben prima della in se fugace amicizia Facebook, alla quale avevo molto rispettosamente contestato alcuni post pro Cinquestelle che mi sembravano francamente del tutto inconsistenti nella forma in cui erano stati riportati, anzi in alcuni casi proprio falsi. La risposta è stata prima la richiesta di sapere “chi mi pagava per difendere il PD”, poi in un crescendo di irritazione, chi mi avesse dato il permesso di intervenire (non le sembrava evidentemente normale che si rispondesse a una cosa che aveva scritto lei per prima…), quindi il blocco delle risposte sul post e infine la cancellazione dalle amicizie.
Stessa cosa recentemente con un “sovranista”, anch’egli colto e perfino giornalista, che – in riferimento alla notizia che alcuni cittadini si erano opposti all’arresto di extracomunitari espulsi perché privi di permesso – deprecava chi per “disobbedienza civile” non rispettasse leggi dello Stato “percepite come ingiuste”. Quando ho fatto notare che in questo modo si sarebbero dovuti deprecare anche coloro che, dopo il 1938, avevano nascosto ebrei in cantina, prima mi ha riposto che le due cose non avevano relazione e poi, quando la relazione l’ho spiegata in dettaglio, ha risposto con una velata offesa e mi ha tolto l’amicizia.
Non mi hanno tolto l’amicizia altri amici di area PD, ma hanno comunque cessato la discussione dopo avermi dato del pazzo o del sognatore (quindi senza entrare nel merito delle obiezioni) perché mettevo in dubbio il loro incrollabile principio della crescita economica.
Vorrei chiarire una cosa: l’amicizia “virtuale” di facebook con l’amicizia “reale” della vita non ha niente a che fare; l’unico suo valore è mettere due persone in un contatto dialogico. Ed è per questo che la cancellazione dell’amicizia di un dialogante critico e al quale si fatica a rispondere è un segnale gravissimo dello stato di salute del confronto politico su Facebook (come detto, oggi per molti il principale momento di confronto politico): perché elimina il confronto stesso. Gli “amici”, i partecipanti al dialogo, devono essere o con me – nel qual caso mi daranno man forte, “facendo numero” nel sostenere le medesime mie posizioni – o contro di me – nel qual caso giocheranno con me e con chi mi supporti uno scontro di posizione, sostenendo il ruolo della squadra avversaria. Tertium non datur: chi solleciti a riflettere sulle posizioni, e quindi anche sullo scontro e sul gioco competitivo, non è gradito e viene messo alla porta. Proprio come è già avvenuto nel mondo della politica di palazzo, dove i partiti sono stati ridotti (anche se non si è riusciti ad affermare il bipolarismo) ed è stato svilito il ruolo dei deputati, ridotti a votare in silenzio le decisioni dei leader.
IL confronto politico sulla rete, dunque, non è un confronto ma uno scontro agonistico dal quale è bandito ogni argomentare, ogni spirito critico: o si è da una parte, o si è dall’altra, e chi è in maggior numero o strilla più forte vince. Che nessuna delle parti meriti la vittoria, che ci sia altro da fare prima di voler vincere, questo non si deve sentir dire: rovina il divertimento del gioco. Perché questo è, oggi, la politica in Italia nell’era di Facebook: un gioco, un passatempo, al pari del mettere in rete le foto dei gattini. Ed è per questo che abbiamo i governi che abbiamo (non solo l’ultimo, ma anche i precedenti) : sono il risultato dell’attitudine dei cittadini, che è ludica, non politica.