Archivio mensile:ottobre 2016

Ma la democrazia non è né veloce, né economica

E’ piuttosto curioso quel che sta accadendo negli ultimi giorni nel(lo pseudo)dibattito sulla riforma costituzionale: i sostenitori del sì alla riforma hanno pressoché smesso di portare “ragioni”, limitandosi a dire che chi vota no si trova “in brutta compagnia”. Insomma, hanno ripreso l’argomento “antirenziano”, rovesciandolo in “antidalemismo”, “antibrunettismo”, e via dicendo.

Nulla di sorprendente: il “dibattito” sul tema non è mai stato un vero dibattito, ed è anche vero che scegliere una compagnia tra Renzi, D’Alema e Brunetta è cosa ardua. Ma il vero motivo di questo “arretramento”, a mio parere, è che le ragioni del sì sono semplicemente antidemocratiche, e perciò vanno messe in secondo piano.

Come osservava qualche settimana fa Eugenio Scalfari, la democrazia nasce come espressione diretta del potere da parte del popolo, che si riuniva nelle piazze, discuteva e poi esprimeva le decisioni in assemblea. Come lo stesso Scalfari sottolineava, la democrazia diretta non è però possibile in società complesse e di grandi dimensioni, per cui è diventato presto necessario esprimere il potere delegandolo a rappresentanti. E’ palese che questa modifica riduce il tasso democratico, perché il potere è del popolo solo in modo mediato; ne conserva però l’elemento essenziale: il popolo ha dei suoi rappresentanti, che discutono tra loro riproducendo per così dire “in scala proporzionale” il dibattito pubblico, che è l’essenza della democrazia. Ovviamente, perché la cosa funzioni è necessario il rispetto di alcune condizioni:

  • che l’assemblea dei delegati rispetti le proporzioni dei deleganti;
  • che le decisioni siano prese mediando le esigenze di tutti, cioé bilanciando le diverse opinioni e non a meri colpi di maggioranza;
  • che ciascun rappresentante abbia un rapporto continuo con i rappresentati, cioé svolga attività politica sul territorio in cui vivono gli elettori che lo hanno delegato.

Non è difficile rendersi conto che questo sistema – che è poi la democrazia – non è né veloce, né economico. Né può esserlo: il confronto tra posizioni diverse, la comprensione reciproca, la ricerca di punti di equilibrio che tengano conto delle esigenze di tutti coloro che convivono entro uno stesso Stato, non possono che essere processi lunghi e onerosi. Non è infatti un caso che la democrazia sia nata solo quando le società potevano permettersi un tale lusso (nell’antica Atene anche grazie all’esclusione dei pieni diritti civili agli schiavi, che ne pagavano gran parte del prezzo) e che sia dappertutto sospesa quando costi e tempi diventano decisivi – cioé in caso di guerra.

Ebbene, quali sono i principali argomenti a favore della riforma che è stata preparata dall’attuale governo e che sta per essere sottoposta al giudizio popolare? Che con essa avremo uno Stato più snello, efficiente, veloce ed economico! Che è come dire: avremo uno Stato meno democratico….

La domanda che può nascere è: ma allora perché non c’è una reazione popolare massiccia? Perché i fronti di favorevoli e contrari sono così in equilibrio? Le possibili risposte sono tante e non è questa la sede per affrontarle tutte. Mi limiterò a riflettere su una di esse.

Ho elencato tre condizioni (non voglio dire che siano tutte) per il buon funzionamento di una democrazia rappresentativa; osservandole con attenzione sarà facile rendersi conto che, gia adesso, nessuna di esse è più soddisfatta:

  • la proporzionalità dei rappresentanti è stata abbandonata il 18 aprile del 1993, con la modifica costituzionale che introdusse il sistema maggioritario – e si noti che le ragioni addotte allora erano le medesime di oggi, vale a dire efficienza, rapidità ed economia, unite alla “governabilità”;
  • la mediazione delle decisioni attraverso il rispetto e il bilanciamento di tutte le opinioni rappresentate non c’è forse mai stata – perché il governo è sempre stato assunto dalla maggioranza, che ha sempre marginalizzato la minoranza – ma si è anch’essa ridotta al lumicino con il maggioritario e il conseguente bipolarismo, che ha fatto sparire le differenze, soffocandole prima nei singoli partiti/coalizioni, poi in un parlamento ove si vota eseguendo gli ordini dei capifazione;
  • i rappresentanti dei cittadini hanno da tempo smesso di confrontarsi con chi gli ha eletti, lavoro impegnativo e oneroso (ci si scandalizza in questi giorni delle spese di un cinquestelle, ma sono davvero quel che non può non spendere chi affitti sale, faccia stampare manifesti, paghi spese a collaboratori sul territorio…) che oggi nessuno sente più il bisogno (e il dovere) di fare.

Politica, ormai, non è più sinonimo di “discussione pubblica” (ancorché mediata), bensì di “battaglia per la presa del potere”; quel che si sceglie non è più “un rappresentante delle proprie idee”, bensì “un atleta su cui scommettere”, per il quale continuiamo a “tifare” anche quando giochi male, o giochi sporco, perchè quel che conta è solo che vinca. Vinca per noi, anche se con le nostre idee – e persino con i nostri interessi – non ha più molto a che fare.

Abituati a questo stato di cose della politica – che infatti tutti sono pronti a deprecare e infamare, persino mentre la stanno appoggiando – è ovvio che i cittadini non percepiscano che questo ulteriore cambiamento istituzionale non è altro che un nuovo passo verso l’abisso che ci è stato spalancato ventitrè anni orsono dal maggioritario. Un’altra, piccola ma consistente serie di riduzioni alla sovranità popolare, come elencano molti critici della riforma. Magari le ricorderò anch’io e ne mostrerò i pericoli, ma in fondo non ce n’è neppure il bisogno. Basta infatti quel che dicevo poc’anzi, e cioé che efficienza e risparmio non sono compatibili con la pratica democratica della politica. Qualcuno preferisce rapidità ed economia alla democrazia? E’ lecito. Ma che lo dica, e non contrabbandi con la menzogna una riforma aziendalista (come diceva tanti anni fa Bobbio, in azienda la democrazia non è mai arrivata, e forse con qualche ragione) come una riforma democratica.

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