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Quando un influencer fa politica, la politica è già di destra

Il Primo Maggio il rapper Fedez, dal palco del rituale concerto della Festa dei Lavoratori, si è lanciato in un (tutt’altro che inusuale, molti l’avevano fatto in passato) intervento “politico”, attaccando la Lega per i boicottaggi alla legge contro omofobia e transfobia, ma anche lamentando una presunta censura che sarebbe stata tentata ai suoi danni dalla Rai, che trasmetteva il concerto, in particolare dalla vicedirettrice di rete, in questo caso però in quota PD, partito che ha presentato il decreto legge in questione. Ne sono seguite ricche e variegate polemiche politiche, nonché il solito pugnar di posizioni avverse sui social network, piaccia o non piaccia ormai agorà del dibattito politico tra cittadini.

In tale agorà è parso emergere un sostanziale sostegno al rapper, offertogli anche da autorevoli rappresentanti della sinistra – due su tutti, l’ex segretario PD Zingaretti e l’importante rappresentate del medesimo partito Gianni Cuperlo. In alcuni casi quel sostegno arrivava esplicitamente “senza se e senza ma”, in altri era perfino arricchito da considerazioni tipo “fa quel che i partiti di sinistra non hanno il coraggio di fare”. In breve: il “ribelle” Fedez è sostanzialmente divenuto emblema e modello dell’opposizione (anche alla lottizzazione della RAI) e del cambiamento, una sorta di eroe della sinistra. Solo pochi sono usciti dal coro, alludendo (inutilmente) al “mestiere” che il rapper svolge assieme alla moglie – l’influencer – magari additando il cappellino della Nike indossato nel video che denunciava il tentativo di censura.

A me questa vicenda pare emblematica della condizione in cui versa la (in)cultura politica non solo dei partiti di sinistra, ma anche e soprattutto dei cittadini che in qualche modo si sentono da essi traditi. Una vicenda nella quale i più vedono solo l’apparenza e si lasciano sfuggire la sostanza, restandone in tal modo del tutto gabbati.

In primo luogo, è opportuno sottolineare che, sebbene la legge contro l’omotransfobia sia stata proposta e sostenuta da partiti di sinistra, la difesa dei diritti e dell’integrità delle minoranze non è un valore specifico ed esclusivo della sinistra, bensì è parte anche di culture politiche centriste e liberali; insomma è un principio ampiamente condiviso, compatibile anche con strutture sociali largamente divise in classi e che prevedano ampie sperequazioni, economiche e di opportunità. Solo determinate culture politiche particolarmente conservatrici riguardo ai costumi possono derogare un tal principio di valore, ma queste non sono “la destra”, bensì solo una sua parte estrema.

Detto questo, veniamo alla questione centrale. Fedez non è semplicemente un artista salito sul palco del concertone per cantare: è il socio della cosiddetta ditta “Ferragnez”, che – ben pagata – svolge il ruolo di influencer, vale a dire promuove questo o quel prodotto di mercato di vario genere, costituendo in tal modo un elemento portante di quel “sistema” contro il quale il rapper afferma poi di volersi ribellare. In altre parole, Fedez e la sua compagna sono il “braccio armato” delle multinazionali e delle banche che vi investono, di Bezos e di Gates, di tutti i “grandi vecchi” contro i quali chi si ritiene di sinistra spesso si scaglia, i quali senza personaggi come i Ferragnez, amplificatori del sistema pubblicitario che spinge al consumo, rimarrebbero senz’aria e senza soldi.

Il “ribelle” Fedez, ne fosse o meno consapevole (questo non possiamo saperlo), con la sua tirata del Primo Maggio ha alzato il rating della ditta Ferragnez, alzando conseguentemente anche il prezzo degli emolumenti che quella percepisce grazie al suo contribuire al funzionamento del sistema dei consumi, indispensabile base di quell’economia neoliberista che produce diseguaglianze, cataclismi ecologici, flussi migratori, nepotismi e corruzioni. Novello Principe di Salina, il rapper si scagliava contro le discriminazioni omotransfobiche per rafforzare le sperequazioni economiche, denunciava la censura affinché aumentasse la propria egemonia. Sacrificava, insomma, elementi non necessari al “sistema” per rafforzarne quelli vitali. Con tale e tanta sicurezza di rimanere impunito da indossare lo strumento di lavoro – il cappellino della Nike – fin nel video di denuncia. E faceva bene i propri conti, perché i più non se ne sono accorti. Peggio, alcuni hanno persino attaccato chi, magari con ironia, additava la truffa.

A tutto questo si potrebbero aggiungere altri non trascurabili dettagli, per esempio che, come emerso in seguito, la presunta censura era stata decisamente manipolata (l’audio della conversazione era tagliato e non rendeva conto né di chi, né di come gli fossero state dette le cose che riteneva censorie), che la diffusione urbi et orbi di una telefonata privata è una violazione di quella privacy di cui tanto ci si lamenta quando è la propria, ma non quando è di qualcun altro, e anche che alla legge contro l’omotransfobia non si oppone solo la Lega, ma anche diversi movimenti femministi (giusto per ricordare che niente è mai scontato). Ma sarebbe superfluo.

Basta e avanza infatti che i più si sentano di scrivere “io sto con Fedez” o, peggio, “Fedez ha avuto il coraggio che manca alla sinistra”: chi lo fa non ha capito come funziona il mondo in cui viviamo, chi siano coloro che dobbiamo combattere per cambiarlo, quali siano le priorità per il cambiamento. Che a non capirlo siano così tanti e così convinti significa solo una cosa: che in una società più giusta e meno sperequata non ci vivremo mai. E non solo per colpa dei tanto vituperati partiti, bensì per responsabilità dei cittadini.

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Liberi di fare quel che ci hanno convinto di desiderare

E così da oggi, passato il 25 aprile, inizia anche la liberazione dalle misure antipandemiche. Pazienza se – come capirebbe anche un bambino – questo costerà due o tre mila morti in più, e pazienza anche se tra un paio di settimane avremo la doccia fredda di rinchiuderci di nuovo per l’impennata di casi (Sardegna docet): la libertà prima di tutto!

Ecco quindi che potremo tornare al cinema, là dove prima della pandemia non andava nessuno perché preferiva stare a casa a vedere la TV (“è più comodo… la gente fa rumore… le poltroncine sono scomode… non c’è niente di interessante… e poi è troppo caro!”); a teatro, anche lì dove nessuno prima andava (“è una forma arcaica di spettacolo… è superato dal cinema… è noioso… e poi è troppo caro!”); ai concerti, dove ante covid nessuno andava (“si ascolta meglio dall’HiFi… c’è tutto in streaming… la sera uno torna stanco dal lavoro… e poi i concerti sono troppo cari!”).

Non solo, si potrà tornare anche al ristorante – non importa se si mangia peggio che a casa e non è possibile conversare perché c’è troppa confusione – e a fare colazione al bar – ok, è una pessima alimentazione, ma poi si smaltisce andando in palestra, le hanno riaperte e siamo liberi di andare anche lì.

Si lavora duro, avremo pure il diritto di toglierci qualche soddisfazione, no?

Soprattutto, potremo tornare a socializzare! Quanto ci è mancato, in questi mesi… Quelle belle chiacchiere in gruppo nel corso delle quali tutti parlano senza che nessuno dica niente; quelle cene appassionate attorno a un tavolo troppo grande in locali troppo chiassosi, alla fine delle quali si portano a casa soprattutto la pancia che tira e la testa intontita.

Del resto, diciamocelo: non ne potevamo più di stare in casa, soli con noi stessi – con il rischio di scoprire cosa siamo veramente! – o con i nostri cari – che, per restare tali, è bene assumere solo durante i pasti. Non ne potevamo più di riflessioni, di letture, di lentezza, di riposo.

Soprattutto, non ne potevamo più di pensare!

Finalmente possiamo tornare a correre, a far casino, a consumare. Liberi di fare quel che ci è stato insegnato: “produci consuma crepa”. Per insegnarcelo hanno investito denaro ed energie, studiate competenze e ingegno creativo, ma il loro lavoro pubblicitario non è stato vano: l’abbiamo imparato talmente bene, che adesso non possiamo più farne a meno.

Desideriamo davvero quel che volevano che desiderassimo, vogliamo essere liberi di fare ciò che vogliono: lavorare per consumare, mandando avanti il sistema economico. Questo, e nient’altro.

La buona notizia è che da oggi è di nuovo possibile. E lo sarà a lungo, perché per garantircelo, proprio oggi – prova che il nostro è davvero il Governo dei Migliori – è stato presentato il PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un megaprestito – qualcosa come un quinto sullo stipendio nazionale – che ci metterà sul lastrico e ci costringerà a correre e lavorare ancora di più per ripagarlo, accumulando ancor più frustrazioni e avendo così bisogno di ancor più soddisfazioni compensative – colazioni al bar, ristoranti, palestre, feste, discoteche.

Almeno fin quando non creperemo, senza domandarci neppure perché, senza chiederci se fosse la cosa giusta, se la vita non potesse essere qualcosa di più di una corsa da un aperitivo a una cena, fatta su un SUV elettrico tenendosi connessi con l’ultimo modello di smartphone.

Avevamo avuto la possibilità di rifletterci, per un anno. Ma che noia, il pensiero!

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