E allora iniziamo. Chiedendoci: cos’è successo domenica e lunedì?
La mia prima risposta – mera ipotesi di lavoro – è che, semplicemente, i conti tradizionali della politica non sono tornati: per la prima volta, abitudini e appartenenze sono saltate e otto milioni e mezzo di cittadini hanno votato un partito che non è un partito e che, soprattutto, alle precedenti elezioni neppure esisteva.
Si dirà che era già successo nel ’94, quando ebbe inizio l’epopea berlusconiana. Ma allora le cose erano piuttosto diverse: anche allora c’era, è vero, un leader carismatico a fare da traino (anche lui, oltretutto, proveniente dal mondo dello spettacolo), ma al contrario di oggi fu investito moltissimo denaro e il partito emergente riciclava vecchi politici di un altro partito appena defunto. Qui, invece, ci troviamo davanti un successo nato a costo zero, con protagonisti perlopiù mai apparsi sulla scena politica e che hanno sottratto voti a realtà concorrenti. Inaudito.
Come si spiega tutto questo?
Ieri ho definito tale successo “fuga verso il nulla, trainata da un vero e proprio pifferaio di Hamelin”. Non vorrei essere frainteso: quel movimento è il chiaro segno che la misura era colma (lo era anche per me, e da tempo mi guardavo bene di votare i partiti tradizionali). Lo spettacolo della “casta” (il termine ha già sei anni, risalendo all’omonimo libro del 2007 di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ma nulla è mutato da allora) era infatti insopportabile, tanto che perfino Bersani ha parlato di immoralità (però solo dopo la sconfitta…); la frustrazione prodotta dall’apparente immodificabilità del quadro era altissima (un modesto ridimesionamento dei privilegi economici è stato boicottato in modo grottesco nel corso dell’ultima legislatura); l’inconsistenza delle risposte politiche al progressivo scivolamento nella povertà e alla crescente perdita di diritti dei cittadini era tanto palese, quanto irritante. Quindi le ragioni di una reazione forte, anzi di una rivolta c’erano tutte. Ma la domanda che dobbiamo porci è: perché i cittadini italiani si sono disinteressati dei molti movimenti e dei numerosi tentativi di proporre alternative politiche, e si sono improvvisamente svegliati solo quando la proposta è stata avanzata da un comico dall’urlo facile e dalla visione politica globale debole? Perché Grillo è riuscito dove hanno fallito – cito a caso – i Ginsborg, i Revelli, i Gesualdi?
Ribadisco ancora: non voglio essere frainteso, né scambiato per un censore. Beppe Grillo è meno banale di quanto tanti sostengano. Oltre quindici anni fa – era il 1997, se non erro – ebbi occasione di seguire un seminario sul futuro del lavoro, organizzato da Francuccio Gesualdi. Tra i relatori c’era un giovane economista, titolare di una delle prime cattedre di economia sostenibile del nostro paese e curatore della traduzione italiana di Futuro sostenibile del Wuppertal Institut: Marco Morosini. Ci fece vedere degli spezzoni di spettacoli di Grillo per la TV svizzera da lui curati dal punto di vista scientifico (e non a caso mai passati dalle molte TV italiane…). Dunque, già allora Grillo si circondava di studiosi che altre forze politiche avrebbero buttato fuori a calci, peché non portavano acqua al “pensiero unico” dell’economicismo. Quindi stiamo attenti a trattarlo solo come un comico urlante. Ma stiamo pure attenti a trascurare il fatto che è anche un comico urlante, perché è per questo– molto più che grazie agli esperti di cui si è avvalso – che ha trascinato le folle a reagire a una politica autoreferente, elitaria e immorale.
Ed eccoci allora al punto su cui riflettere: se è vero che la “vecchia politica” era (ed è) priva di proposte e immorale, e ammesso (e non ancora concesso) che viceversa il soggetto protagonista dello tsunami politico sia etico, è questo anche coerente nelle sue proposte? Ha un modello di società e di interazione economica che gli permetta di trovare i soldi per quel reddito di cittadinanza, per quell’aiuto alle piccole e medie imprese, per quell’acqua e per quella sanità pubbliche di cui si fa propugnatore?
A me non sembra. E, mentre attendo smentite, mi chiedo in cosa si differenzi – nei contenuti politici e non nelle parole – da chi già vent’anni fa prometteva milioni di posti di lavoro….