Archivio mensile:novembre 2020

Per cause occidentali

di Fabrizio “Flaco” Castelli

[Ospito qui un interessante contributo di un amico, che ho apprezzato e del quale condivido lo spirito]

Si, hai letto bene. Occidentali. Non accidentali.

A distanza di quasi un anno dalla comparsa dei primi casi di Covid, diventa inevitabile riflettere sull’enorme divario che si è creato tra il cosiddetto Occidente (Europa ed U.S.A.) ed alcuni paesi orientali quali Corea del Sud, Cina, Giappone, Taiwan e Singapore. Mentre qui da noi il contagio continua a macinare cifre record (al momento in cui scrivo in Italia si oscilla tra i 35mila e i 40mila nuovi positivi al giorno), sembra che in quei paesi asiatici per ora la seconda ondata non sia proprio arrivata. Ieri , 18 novembre, Giappone e Corea del Sud si sono attivate per contenere immediatamente una cifra ritenuta record rispettivamente di 500 e 300 nuovi infetti. Numeri che noi riterremmo irrisori. Una differenza così macroscopica , purtroppo rispecchiata fedelmente anche nel numero dei decessi, fa sorgere un dubbio legittimo e inquietante. Il dubbio che molti cittadini europei ed americani siano e siano stati vittime di cause occidentali, ossia cause che dipendono dalla loro specifica cultura di appartenenza, che ha favorito o quantomeno reso più difficile il contenimento del contagio.

Come cercare di spiegare altrimenti questo enorme divario? Il vaccino – cui l’Occidente sembra aver demandato tutte le sue speranze di risoluzione della crisi – non è ancora disponibile per nessuno. A prima vista si potrebbe allora attribuire questa differenza alla pronta utilizzazione della tecnologia digitale, all’utilizzo di app (spesso gestite secondo principi che in Occidente sarebbero considerati illiberali), che tracciano con precisione gli spostamenti e i contatti dei positivi, e ne controllano il rispetto della quarantena. Ma tutto sommato anche questa risposta rischia di essere insoddisfacente o parziale. Sia perché di principio la ricostruzione dei contatti può essere fatta anche senza ausilio di app (benché queste aiutino e velocizzino il processo e la gestione delle informazioni), sia perché qui da noi il problema non si è mai realmente posto, per una questione di carattere culturale. Qualcuno ricorda l’app Immuni? Dando prova di una certa ottusità, gli stessi occidentali che forniscono quotidianamente i loro dati sensibili a grandi società private come FB, Google o Amazon, hanno decisamente rifiutato di fornire anonimamente i dati sui loro spostamenti alla sanità pubblica del loro paese.

Questo indica chiaramente che la spiegazione va cercata altrove. Il filosofo sud coreano Byung-Chul Han, da anni docente all’Università der Künste di Berlino ci mette sulla buona strada: “Come si spiega che in Asia i numeri dei contagi restano così bassi a prescindere dall’ordinamento politico del paese? Il vincitore giapponese del premio Nobel per la medicina, Shin’ya Yamanaka, parla di un “fattore X” non facile da spiegare”, ma che in sostanza può essere definito come “ l’importanza del senso civico, dell’azione comune in una crisi pandemica. Laddove le persone rispettano volontariamente le regole sanitarie, si possono risparmiare controlli e obblighi che impiegano molto personale e costano parecchio tempo”. Anche sul piano delle libertà individuali e delle ricadute economiche, questo ‘fattore X’ si rivela determinante: “Paradossalmente, gli asiatici hanno più libertà proprio perché rispettano le regole. Anche il danno economico è risultato molto meno grave che in Europa. Il paradosso della pandemia è che alla fine c’è più libertà se ci si limita volontariamente. Chi, per esempio, respinge la mascherina perché limita la propria libertà, alla fine ne ha meno”1. E’ questa la differenza culturale che oggi rischia di essere determinante. Ovviamente qui la questione non può che essere semplicemente e grossolanamente tratteggiata. Da Ulisse a Jena Plinsky, l’immaginario occidentale è dominato dalla figura dell’individuo eccezionale, che sposta i limiti della conoscenza, che si avventura nell’ignoto, che eccede sulla massa della gente comune perché osa andare oltre. La nostra cultura ha sempre messo l’accento sull’individualità rispetto alla collettività. Da noi far parte di una collettività (laddove questa non sia una collettività oppositiva, che si costituisce contro qualcuno) equivale più o meno ad essere dei cretini o delle pecore belanti. Il potere costituito collettivamente è sempre oggetto di sospetto pregiudiziale. “La disobbedienza è il reale fondamento della libertà. Gli obbedienti sono nati per essere schiavi” questa frase di Henry David Thoreau, filosofo ottocentesco statunitense dice quanto serve. E certo non avrebbe mai potuta essere scritta da un pensatore orientale. Per quanto personalmente non possa non ammirare questo invito all’indipendenza, bisogna forse cominciare ad ammettere che qui sta anche la radice di ogni negazionismo o scetticismo: l’occidentale diffida del potere, lo ritiene sempre espressione di una volontà di controllo, si fa vanto di non abbeverarsi alle fonti ufficiali e di saperla sempre più lunga della massa. E’ un istinto culturale tanto radicato da non arrestarsi nemmeno di fronte all’evidenza. I negazionisti, i complottisti contemporanei sono tanto ciecamente imbevuti di questa logica da non temere il ridicolo ( e nemmeno lo sfregio della memoria delle vittime)

E allora io voglio qui umilmente dichiarare tutto il mio amore per la cultura occidentale, amore condiviso anche da Byung-Chul Han, che non a caso dichiara candidamente di voler “continuare a vivere nel focolaio di Coronavirus scoppiato a Berlino piuttosto che nella Seul libera dal virus”. L’istinto ad indagare, la volontà di superare il limite, la valorizzazione delle differenze individuali ci ha dato la filosofia, la scienza, la democrazia e lo stato di diritto. Ma oggi questo amore non può più essere cieco. Deve confrontarsi con quanto sta accadendo, e trovare una nuova declinazione.

La spiacevole consapevolezza che non ci sia un luogo in cui scappare, ci costringe a fare i conti coi limiti della nostra cultura: condividiamo uno spazio che è il mondo stesso e – dacché siamo quasi 8 miliardi – siamo costretti a prendere in considerazione gli effetti che i comportamenti individuali hanno sulla società nel suo insieme. Anche a nome di chi tutti i giorni rischia la propria vita per salvarne altre, vorrei smettere di vedere lapidi su cui, idealmente, è incisa la frase “morto per cause occidentali”.

1 Byung-Chul Han, Il fattore X contro la pandemia è il senso civico, dal quotidiano “Domani”, 31/10/2020

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