Archivio mensile:settembre 2014

Facite ammuina!

In questi giorni stiamo assistendo a un’ennesima querelle d’avanspettacolo, che se non fosse tragica sarebbe straordinariamente comica. Il nostro giovine Presidente del Consiglio (ma il potere in questo caso sembra logorare anche chi ce l’ha, non tutti hanno la tempra di Andreotti…) ha rilanciato il totem dell’articolo 18, vecchio cavallo di battaglia delle destre, lasciando capire che proprio quello, assieme ad altre “arcaiche” garanzie dei lavoratori, sarebbe la causa delle ingiustizie nel mondo del lavoro, che vedono un esercito di “garantiti” contro un altro esercito di lavoratori atipici alla mercé del mercato selvaggio. Per Renzi, dunque, la soluzione passerebbe dall’abolizione di queste ingiuste differenze, mettendo tutti sullo stesso piano. Peccato che l’equiparazione sia al ribasso: non già dare garanzie a chi non le ha, bensì toglierle a tutti. Geniale.

Ovvio che, di fronte a questo, ci siano state reazioni, da parte dei sindacati e di quella sinistra che prova a fare ancora il suo mestiere (di sinistra). Ad esse il Genio Fiorentino (forse non tutti sanno che così si chiamava la “fiera” che Renzi ha finanziato ai tempi in cui era Presidente della Provincia, – sì, proprio quella Provincia che ha poi abolito perchè inutile,,,) ha ribattuto chiedendo con sarcasmo dove fossero i sindacati quando si istituivano le norme che hanno prodotto i contratti atipici privi di garanzie. Giusto. Tranne che un suo futuro successore potrebbe dire, domani, dove fossero stati quando lui toglieva garanzie anche a chi ancora le aveva…

E’ tuttavia vero che i sindacati, mentre protestano per l’abolizione dell’articolo 18, si battono anche per l’ampliamento di garanzie ai garantiti, dimentichi di chi non ne ha alcuna: è di questi giorni la notizia dell’ottenimento del pagamento del tempo di vestizione (18 minuti giornalieri) agli infermieri, che – con tanto di rimborso di dieci anni pregressi – costerà svariati milioni di euro a una Sanità che, con quei soldi, potrebbe invece assumere nuovo personale, così drammaticamente carente – oltre che drammaticamente disoccupato.

L’impressione che ne trae chi provi a pensare, invece che a protestare, è che si sia di fronte a una sceneggiata, un italianissimo “facite ammuina”, creata ad arte per nascondere l’insulsaggine delle proposte dell’una e dell’altra parte.

Ma perché? Cosa c’è da nascondere? Cosa c’è di sbagliato?

E’ molto semplice. Di sbagliato c’è l’idea – pervasiva in Italia e altrove, non solo tra i politici e i sindacalisti ma anche tra i cittadini tutti – che sia possibile “creare posti di lavoro”, “rilanciare la crescita” e “aumentare i consumi” in una parte di mondo – la nostra – che consuma già più di quanto il pianeta possa rigenerare, che lavora così tanto da azzerare i rapporti sociali surrogandoli con ore passate in solitudine davanti agli schermi (televisivi, dei computer, degli smartphone), che è cresciuta così tanto da apparire simile a un tumore.

La direzione da seguire sarebbe un’altra, e cioé – pur con mille cautele e ancor più difficoltà di transizione – quella di redistribuire il lavoro e la ricchezza che c’è, seguendo l’idea di uno “stato stazionario” al posto di un’economia della crescita. Un’idea ormai quasi venticiquennale (l’omonimo libro di Herman Daly è del 1991). Lavorare tutti, lavorando (e guadagnando) meno, riprendendosi il tempo della propria vita, attuando il sogno illuminista di far lavorare le macchine, quando possibile, al posto nostro, invece di lavorare sempre di più per avere sempre più cose e sempre meno vita.

Ma questa soluzione, aldilà della difficoltà della sua attuazione, è scomoda – per chi vive della rendita del lavoro altrui, tra i quali ci sono tanto i nostri poilitici, quanto i nostri sindacalisti – per cui è bene manterla inattuale, non parlandone, non facendola trapelare: hai visto mai che possa piacere al popolo bue? Dunque, via con la sceneggiata, via con l’ammuina: io propongo di cambiare tutto (perché nulla cambi), tu replica difendendo un sistema che comunque va cambiato (ma certo non sul serio, siamo d’accordo, no?).

Per chi ha la testa sulle spalle, rimane solo la possibilità di scuoterla. E, per consolazione, andare a un festival: della letteratura (per un popolo che non legge), della filosofia (per un popolo che non pensa), perfino del diritto (per un popolo che considera le leggi un’imposizione dall’alto).

Per quanto tempo ancora?