Archivio mensile:Maggio 2017

La scuola di (disin)formazione del PD e il Reddito di Cittadinanza

Matteo Renzi, per molti l’unico in Italia ad avere la caratura di uno statista, si è stamani dichiarato critico nei confronti del Reddito di Cittadinanza affermando che esso

è un meccanismo che devasta l’Art.1 della Costituzione, perché il lavoro non è solo un modo per prendere uno stipendio, ma è dignità, è il punto di sintesi tra culture diverse, è uno degli sbocchi possibili della necessaria relazione con gli altri. Noi siamo per il lavoro di cittadinanza e non per il reddito di cittadinanza.

Tralascio qui le metafore da operatore del marketing che ha usato di seguito  (“specchio” versus “finestra”, “nostalgia” contro “progetto”…) e vado al punto: Renzi inserisce il reddito di cittadinanza nella categoria “assistenzialismo”, dimostrando di ignorare di cosa sta parlando. E lo fa, per giunta, nientemeno che alla “Scuola di Formazione Pier Paolo Pasolini” del PD, garantendo così al partito una futura classe dirigente di ignoranti.

Il reddito di cittadinanza, infatti, non è nato come strumento di assistenza, bensì come correttivo delle distorsioni del mercato del lavoro. Basterebbe conoscere almeno una parte dell’ampia letteratura degli anni Novanta sul tema per saperlo. E quelle correzioni hanno sempre avuto per obiettivo – oltre a una diminuzione delle disparità economiche e sociali – proprio la restituzione della dignità ai lavori meno appaganti e ambiti.

Per esempio, James Robertson, nel suo Future Wealth: A New Economics for the 21st Century (1990, tradotto in italia nel 1993 da Red con il titolo Economia sostenibile), mostrava come il reddito di cittadinanza (lui lo chiamava allora “salario minimo garantito”) abbia molti vantaggi: azzera la povertà e la discriminazione dei disoccupati; incentiva l’attività sociale informale; aumenta la libertà del mondo del lavoro; togliendo dall’estrema indigenza i disoccupati, rende meno ambiti i lavori spiacevoli e perciò costringe i datori di tali lavori ad aumentarne la retribuzione, correggendo la perversione per cui si è ben pagati per fare lavori piacevoli e malpagati per farne di spiacevoli ma indispensabili.

Non è difficile rendersi conto che, grazie al reddito di cittadinanza, è proprio la dignità data ai cittadini dal lavoro ad essere esaltata, proprio perché si riduce la costrizione a svolgere per necessità e a basso compenso dei lavori utili ma spiacevoli e, per questo, anche socialmente degradanti. Non solo: grazie a esso sarebbe possibile fare con piena soddisfazione anche la gran mole di attività socialmente utili ma non retribuite, oggi in diminuzione proprio a causa del fatto che esse richiedono una libertà di tempo e una serenità economica che la crisi ha drasticamente ridotte. E, ancora, sarebbe possibile disincentivare la vergognosa pratica schiavista di far svolgere agli stranieri i lavori meno ambiti e anche diminuire l’esodo di giovani italiani all’estero.

Io non so con esattezza se questo concetto del reddito di cittadinanza sia o meno quello portato avanti dal M5S, né in questa sede m’interessa precisarlo. Perché, anche se non lo fosse e Grillo & Co. avessero un’idea “assistenziale” del provvedimento, le affermazioni di Renzi sarebbero lo stesso sbagliate: sono prese di posizioni disinformate e disinformanti, prodotto di un pressappochismo che i “nuovisti” del PD hanno mostrato più volte nel loro operare, ma anche una strategia di difesa nei confronti di un cambiamento in direzione dell’equità sociale che evidentemente è sgradita a una formazione politica di destra neoliberale (ancorché camuffata da sinistra moderata) qual è oggi il PD.

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