Archivio mensile:novembre 2015

Non è una guerra, ma praticando l’idiozia riusciremo a renderla tale

Non è facile stabilire in modo chiaro quando uno spargimento di sangue sia una guerra, perché manca una definizione precisa e condivisa del termine. Tuttavia, checchè ne dicano tanti, quello che stiamo vivendo in questi giorni non mi pare proprio sia una guerra, così come non lo erano gli eventi dell’11 settembre, delle stazioni spagnole in fiamme, della strage di Utøya, dell’attentato a Charlie Hebdo.

Qualcuno si stupirà che abbia messo nella lista l’eccidio norvegese: non fu infatti opera di un folle solitario? Che c’entra dunque con gli altri, prodotti da cellule terroriste facenti capo a fanatici religiosi? Ebbene, io tutta questa differenza non la vedo.

Tutti gli eventi sono infatti terroristici, tutti sono ispirati ideologicamente (Breivik era per l’appunto anti-islamico), tutti sono opera di figure almeno relativamente isolate e, in diversi casi, assimilabili o al disagio mentale, o alla criminalità comune “rigenerata” in criminalità a sfondo politico. E – cosa più importante – tutti sono stati eseguiti con armi reperibili da chiunque, anzi, spesso autocostruite con mezzi di fortuna.

Ecco, ha senso chiamare “guerra” una serie di attentati condotti da tre-quattro persone per volta, la metà dei quali disadattati o pregiudicati per rapina, realizzati con lattine di coca cola piene di fertilizzante? Nel caso norvegese, infatti, nessuno o quasi ha speso il termine “guerra”. Perché allora usarlo negli altri?

I motivi, come sempre, ci sono; solo che non hanno alcuna oggettività: trasformano la realtà in qualcosa di diverso per spinte “irrazionali”, anzi direi insensate.

Il primo deriva dal peso emotivo di questi eventi – peraltro, diciamocelo, del tutto “normali”: l’uomo ha mai conosciuto epoche nelle quali non vi fossero eventi luttuosi provocati ad arte? Un peso esageratamente, intenzionalmente e irresponsabilmente amplificato dai media, che hanno necessità di “notizie emotive” per catturare l’attenzione del pubblico e che, trovatele, vi rimestano a non finire facendole diventare delle pubbliche ossessioni. E, si sa, un’ossessione impedisce il ragionamento lucido e complesso, richiede risposte semplici e drastiche, come la teoria del complotto, la credenza in Burattinai e Grandi Vecchi, la costruzione del Nemico. Bianco e Nero, senza sfumature di grigio che ci dicano come veramente sono andate le cose, quale peso reale abbiano e quali siano anche le nostre responsabilità negli eventi – che ci sono, signori, ci sono a profusione.

Del secondo è responsabile la nostra cialtronesca (sotto)cultura di massa individualista, che riconduce alla percezione sensibile ogni fenomeno: se sul bus qualcuno mi pesta un piede, o lui o l’autista (meglio tutti e due) vanno puniti per la disattenzione, senza cercare di capire il perché della frenata, magari dovuta all’improvvisa caduta di un bambino dal marciapiede o, peggio, dalla mia stessa macchina lasciata in doppia fila dietro una curva.

Il terzo motivo è puramente economico: la guerra, lo sanno anche i sassi, è sempre stata il miglior rimedio per le crisi economiche, perché aumenta esponenzialmente la produzione – di armi, di vettovaglie, di farmaci, di materiali edili per la ricostruzione. Il P.I.L si nutre anche di terremoti, disgrazie e distruzioni, mentre non si nutre di felicità. Bob Kennedy lo diceva cinquant’anni fa: allora lo hanno ucciso, oggi lo ignorano.

E allora ecco che si spiega che si parli di “guerra” là dove ci sono solo alcuni disadattati (e, mi raccomando, non riflettiamo sulle ragioni sociali e geopolitiche del disadattamento…) “ispirati” da pochi personaggi – i vertici dell’IS, che è un’organizzazione criminale e non uno stato – i quali, più che fanatici, sono assetati di potere. E chi parla di “guerra”? Una massa emotivamente eterodiretta, messa nell’incapacità di far funzionare il proprio – in quasi tutti casi eccellente – cervello, e un manipolo di personaggi non diversi da quelli che “ispirano” i terroristi “lattina&fertilizzante”, perché come loro talebanicamente intolleranti, insensibili alla vita e ai diritti di chi non sia “loro”, assetati di potere: gli opinion maker, i leader dei partiti politici populo-razzisti, i detentori del potere economico.

Se non inizieremo a impegnarci per invertire questa tendenza, il futuro sarà molto, molto tetro. Perché questa non è una guerra, ma proseguendo su questa strada riusciremo benissimo a farla diventare tale. I bombardieri sono già in azione e colpiscono soprattutto innocenti già sofferenti: domani saranno al fianco dei loro tiranni per difendersi da noi.