Archivio mensile:settembre 2018

Il Governo dell’Indebitamento

Festeggiare i debiti

La foto sopra riportata documenta un paradossale e doloroso fenomeno umano: cinque persone con un debito spaventoso che festeggiano in modo trionfale la decisione di indebitarsi ancor di più.

Per chi scrive la cosa ha dell’incredibile, visto che – nonostante sia partito dal grado zero, senza cioé che nessuno gli abbia regalato niente e svolgendo sempre lavori a bassa retribuzione – non ha mai comprato a rate neppure uno spillo: si lavora, si mettono insieme i soldi, poi si fanno acquisti.

Certo, non è questa la cultura dominante: mai attendere, godere di tutto subito, a pagare ci penseremo in seguito. Una cultura che va a tutto vantaggio di chi vive lucrando sul lavoro altrui, perché i prestiti non vengono erogati gratis, e a svantaggio di chi si illude di vivere al meglio perché ha subito un bene che costa 10 ma che paga 14, regalando 4 a chi neppure lavora.

In Italia questa cultura imperversa, al punto che ha rovinato lo Stato: seguendola, infatti, i tanti governi di tanti orientamenti che si sono susseguiti nella storia della Repubblica hanno come noto accumulato un debito enorme, un terzo superiore al reddito totale annuo del paese. Insomma, è come se un cittadino guadagnasse 2000 euro al mese, cioé 24000 euro all’anno, e avesse da restituire un prestito di 32000 euro. Cosa succede in questi casi? Che quel cittadino, assieme a chi gli ha prestato i soldi (non è necessario siano le banche, possono essere un parente o un amico) fa un programma di restituzione tale che, controllando le spese, gli permetta per esempio di accumulare ogni mese 200 euro dei 2000 che guadagna, in modo da riuscire a restituire in quanttordici anni i soldi a chi glieli ha prestati.

Semplice e ovvio: se foste voi ad aver prestato quei soldi a vostro fratello, non ci troveresete nulla di strano. Trovereste invece strano, anzi, insensato e immorale, che vostro fratello a fine mese, invece di rendervi 200 euro, continui a chiedervene altri 50 (il 2,4%), anzi, vi dica che lo farà per altri tre anni, del tutto indifferente al fatto che vostro figlio cresce e che, tra poco, i soldi che gli avete prestato vi serviranno per cambiare casa e permettergli di avere una cameretta. E la cosa vi farà ancora più rabbia se vostro fratello – a differenza di voi, che lavorate e andate in vacanza quindici giorni l’anno con la vostra macchina comprata usata ed evitate accuratamente di andare al ristorante – viaggia su un SUV gigantesco e passa da un aperitivo a un ristorante tutte le sere. Né vi rassicurerà e farà sbollire la rabbia il fatto che lui – come il giovane Remo di Sorelle Materassi – vi dica che tutto questo gli è indispensabile per farsi una posizione e che tutto si sistemerà nel giro di pochi anni. Senza peraltro presentarvi mai un piano di come questo sia possibile.

Ecco, quei “giovani” governanti trionfanti sono come quel fratello gaudente, come quel personaggio del sempre attuale romanzo di Aldo Palazzeschi: l’Italia è indebitata e loro non sanno far altro che indebitarla di più. Vendere il SUV – ovvero reintrodurre l’imposizione fiscale progressiva, tassando di più chi i soldi li ha – recuperando metà del debito? Neanche preso in considerazione. Combattere duramente l’evasione fiscale, drammatica piaga storica di un paese nel quale non c’è nessuno che chieda con regolarità la fattura al professionista che gli eroga i servizi? Non sia mai, le tasse sono solo violenza del Potere sul Povero Cittadino, anzi, facciamo un condono! Fare un rigoroso piano di rientro, chiedendo a tutti gli italiani di rimboccarsi le maniche per gli n anni necessari a liberarsi di almeno buona parte del debito? Sciocchezze, il debito è solo colpa delle Banche, della Merkel, delle Multinazionali, “delle cavallette!” – per riprendere un’antica gag del blues brother John Belushi.

“Hanno ragione”, dirà la maggioranza del popolo più evasore del mondo (inclusa gran parte di coloro che si credono “di sinistra”), “perchè – come diceva Keynes – l’unica uscita da questa situazione è il rilancio della crescita”. Ora, anche ammettendo che Di Maio e Toninelli abbiano chiaro chi è Keynes, va ricordato che per anni il M5S ha contestato il concetto di “crescita” e l’ideologia che la soddisfazione dei cittadini fosse correlata al PIL: se n’è dimenticato? E ancora: Keynes andava bene nel Novecento, cioé nell’epoca della crescita illimitata di un numero limitato di Stati; oggi, anche senza mettere in gioco multinazionali e Banche Mondiali, l’espansione riguarda potenzialmente (quasi) tutti gli Stati, ed è pertanto ovvio (e anche giusto) che avvenga solo in quelli più poveri, i quali non solo hanno un costo del lavoro inferiore (cosa che attrae gli investitori), ma anche più bisogno e più diritto di crescere. Non può esserci crescita infinita su un pianeta di superficie finita, lo capirebbe anche un bambino; perciò da noi la crescita non ci sarà più e puntare su modelli keynesiani è semplicemente folle.

Ovviamente niente di tutto questo sarà compreso da un elettorato che ha il record del tasso di distorsione della realtà e che viene alimentato ogni giorno a odio per tutto ciò che non sia “italiano”: dalla Merkel agli immigrati, da Macron ai criminali che sembrano essere solo stranieri. E che perciò, quando nessuno comprerà più il nostro debito perché siamo inaffidabili come il fratello gaudente e il giovane Remo, intonerà il coro dell’Europa Cattiva e del complotto delle Multinazionali, pronto a uscire dall’Euro convinto che, in tal modo, i soldi torneranno. Cosa che invece accadrà solo quando ci saremo così tanto impoveriti da competere con il costo del lavoro della Tunisia. Unico vantaggio: i tunisini non avranno più ragione di venire da noi – anche se noi non andremo più in vacanza da loro, né altrove, per mancanza di soldi.

Buona fortuna, Italia. Ne hai bisogno.

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Percezione ingannevole e gradimento del Governo

Intervistato dal Giornale Radio Tre a margine del Festival Filosofia di Modena, che aveva per tema la verità, il presidente dell’istituto di ricerche statistiche IPSOS, Nando Pagnoncelli, ha sinteticamente riportato i risultati di una ricerca svolta su larga scala in quaranta paesi del mondo e con diverse centinaia di migliaia di intervistati, dalla quale emerge un dato assai preoccupante: la percezione che i cittadini hanno di ciò che li circonda è fortemente discordante dai dati reali e l’Italia è largamente in testa alla classifica mondiale di questa “percezione ingannevole” (misperception), come riporta il seguente grafico tratto dalle pagine dell’istituto:

Tra gli esempi di percezione ingannevole in cui cadono i cittadini italiani Pagnoncelli ha citato la presenza degli stranieri, data al 30%  contro un dato reale di 8,3 %, quella dei musulmani, ritenuti il 20% della popolazione e invece solo il 3%, il numero di anziani sul totale della popolazione, creduti il 50% e invece il 22%, e – per restare fuori dai temi “politici” – la percentuale di cittadini affetti da diabete, stimati al 30% e invece solo il 5,4%.

Questo incredibile travisamento della realtà da parte dei cittadini, sostengono i relatori della ricerca, sarebbe proporzionale al livello di istruzione, alla prevalenza delle emozioni sulla razionalità e all’uso di mezzi di informazione che non favoriscono l’approfondimento – vale a dire all’uso prevalente della rete.

Per  valutazioni più precise dello studio rinvio al “microsito” che IPSOS gli ha dedicato (in inglese) o, meglio ancora, al libro The Perils of Perception, di Bobby Duffy, in cui vengono più estesamente riportati dati e ipotesi esplicative. Qui voglio invece fare una riflessione a partire dal dato generale, che è comunque molto, molto preoccupante.

Quello studio, globalmente preso, non fa altro che esprimere in forma oggettiva – oltre che senz’altro più precisa e corretta – un assai contestato giudizio che viene talvolta dato sulla maggioranza dei cittadini, altrimenti detta “popolo” o “paese reale”: che essa sia composta da individui fondamentalmente ignoranti. La ricerca dell’IPSOS, per essere precisi, non conferma quel giudizio: lo aggrava. Presi nella loro totalità, infatti, i cittadini italiani non mostrano tanto di essere ignoranti, quanto – per dirla con Platone – di non sapersi servire di quello che sanno: le loro conoscenze paiono essere raccogliticce, superficiali e disorganiche, nonché influenzate da impressioni emotive, cosicchè al momento di essere utilizzate finiscono per produrre misurazioni ampiamente scorrette del mondo reale.

In altre parole, i cittadini – del mondo, ma in modo eminente italiani – sono sì informati, anzi, lo sono abbastanza da non avere neppure la socratica consapevolezza della propria ignoranza; ma la loro informazione è di qualità così scadente che falliscono regolarmente (e di molto) nel riconoscere la realtà per quello che essa è. E, poiché il “saper di non sapere” è anche la conditio sine qua non per accettare il dialogo con chi la pensi in modo diverso, la maggioranza (oggi neanche più tanto) silenziosa, oltre che avere una percezione ingannevole del mondo in cui vive, è anche pronta a passare alla guerra verbale per difenderne la propria illusoria immagine.

“Chiacchiere da intellettuale” dirà infatti sia chi – senza darsi la pena né di leggere quello studio, né di trovare dati diversi a supporto – contesti la validità della ricerca dell’IPSOS, sia chi lamenti la distanza delle classi “colte” dal “paese” – come ha fatto ieri sull’Espresso Giovanni Orsina (peraltro anch’egli intellettuale) con un articolo di sorprendente fragilità teorica surrogata da un artificioso uso di cultura storica.

In realtà quel che abbiamo qui di fronte non sono affatto “chiacchiere”, bensì “dati”: il “popolo” percepisce un mondo che non c’è e su di esso costruisce desideri e affanni, produce gioie e paure, distingue amici e nemici, vota e legittima Governi. Non può stupire, allora, che di fronte a un Governo come quello in carica, che – tranne un paio di provvedimenti di non gran conto e/o dalla durata dubbia – non ha fin qui fatto altro che il gradasso con gli immigrati, cioé i soggetti più deboli sulla scena, quel “popolo” mostri un gradimento al 62%: la percezione ingannevole ha colpito ancora una volta.

Aldilà delle (amare) battute, resta il fatto che senza un intervento serio, energico e radicale su questo tema, non possiamo attenderci dal futuro nient’altro che tempi estremamente cupi: perché se la maggioranza è scollata dalla realtà, chi la rappresenta non può che esserlo altrettanto e, conseguentemente, i provvedimenti pubblici che deciderà avranno sulla realtà vera una presa nulla. Non solo: ben pochi se ne renderanno conto, se i più continueranno a travisare la realtà a dispetto dei dati.

Fino a quando qualcosa di grosso e inaggirabile non raddrizzi a tutti la vista. Ma, a quel punto, potrebbe essere troppo tardi…

 

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